Perpetuum mobile: le opere effimere di Lucio Fontana in Argentina

Perpetuum mobile: the ephemeral works of Lucio Fontana in Argentina

Daniela Alejandra SbaragliaLiceo artistico statale Aldo Passoni, Torino, Italia.

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> autores

Daniela Alejandra Sbaraglia

orcid logo https://orcid.org/0000-0003-3956-2919

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(Buenos Aires, 1979), historiadora de arte independiente, se graduó en Iconología e Iconografìa (Universidad de Bolonia, 2005), tras una beca en el Warburg Institute (Londres, 2006-2007). Completó sus estudios de posgrado en la Escuela de Especialización en Historia del Arte de Siena (2009), bajo la dirección de Enrico Crispolti, y obtuvo su doctorado en Historia del Arte Contemporáneo (Universidad de Roma Tor Vergata-Universidad de Rosario, 2016). Su trabajo se centra en las relaciones artísticas entre Italia y Argentina en los siglos XIX y XX.

Recibido: 24 de julio de 2024

Aceptado: 15 de noviembre de 2024





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> como citar este artículo

Daniela Alejandra Sbaraglia; “Perpetuum mobile: le opere effimere di Lucio Fontana in Argentina”. En caiana. Revista de Historia del Arte y Cultura Visual del Centro Argentino de Investigadores de Arte (CAIA). N° 25 | Primer semestre 2025, pp. 26-42.

> resumen

La «escultura arquitectónica» aplicada a estructuras efímeras (creadas en colaboración con arquitectos y artistas o de manera independiente), representa para Lucio Fontana un campo privilegiado de experimentación vinculado a la problemática arte-espacio. A partir de la aparición de fuentes inéditas, el artículo se propone indagar sobre los diseños para escaparates y pabellones públicos realizados por Fontana durante el último período argentino (1940-1947), un momento de su trayectoria a menudo poco valorado o aislado del resto de la actividad creativa del rosarino. La dimensión social inherente a la obra efímera, que implica un diálogo recíproco entre el artista y el contexto, así como a la colaboración con otras figuras, puede contribuir a arrojar luz sobre las relaciones tejidas por Fontana con el ambiente artístico argentino, así como sobre la recepción de su producción por parte de los medios de comunicación, redefiniendo las premisas teóricas y operativas de los logros estéticos vinculados al Espacialismo que, si bien se materializan a su regreso a Italia, encuentran un campo de experimentación y un primer desarrollo fáctico en su tierra natal.

Palabras clave: arquitectura efímera, vidriera, arte contemporáneo, escultura, Lucio Fontana

> abstract

«Architectural sculpture» applied to ephemeral apparatuses (created in collaboration with architects and artists or independently), represents for Lucio Fontana the privileged field of experimentation linked to the problematic work of art-space. Thanks to the emergence of unpublished material, the article aims to investigate the interventions designed for shop windows and public pavilions carried out by Fontana during the Argentine period (1940-1947), a creative moment often diminished in scope or isolated from the rest of the creative activity of the rosarino. The social dimension inherent in the ephemeral work, which leads to a reciprocity of dialogue between artist and context as well as to collaboration with other professional figures, can help to shed light on the reception of his production by the media, redefining the theoretical and operational premises of the aesthetic achievements linked to Spatialism which, if they materialize on the artist’s return to Italy, they find a field of experimentation and first factual development in his homeland.

Key Words: ephemeral architecture, stained glass window, contemporary art, sculpture, Lucio Fontana

Perpetuum mobile: le opere effimere di Lucio Fontana in Argentina

Perpetuum mobile: the ephemeral works of Lucio Fontana in Argentina

Daniela Alejandra SbaragliaLiceo artistico statale Aldo Passoni, Torino, Italia.

Introduzione

Il rapporto opera d’arte-spazio è fondante nella vicenda creativa di Lucio Fontana. Nasce infatti nella peculiarità operativa del suo esordio da scultore, la produzione cimiteriale negli anni venti in Argentina, sotto la guida del padre Luigi; si consolida durante il discepolato presso Adolfo Wildt, “sostenitore dei valori architettonici della scultura”; si sviluppa, sollecitato dai postulati futuristi, articolandosi lungo i Trenta, nella grande progettazione monumentale e ambientale, lavorando a stretto contatto con gli architetti del razionalismo italiano.[1] Sotto l’impulso di critici come Raffaello Giolli ed Edoardo Persico, Fontana aveva trovato infatti nella collaborazione tra artisti e architetti uno stimolo per la sua personale ricerca, caratterizzata da una forte carica di rinnovamento legato al dinamismo plastico e all’utilizzo di nuovi mezzi d’espressione.

Considerato il ruolo fondante di questo tipo di produzione, finalizzato alla creazione di un’arte totale, in grado di “coinvolgere l’uomo nello spazio immateriale dell’invenzione”,[2] il presente saggio si propone di indagare quanto le possibilità operative offerte da apparati effimeri e ambientazioni possano aver rappresentato per Fontana uno stimolo alla sua ricerca anche durante il periodo di permanenza in Argentina, tra il 1940 e il 1947. Altro obiettivo del lavoro è quello di fornire una lettura alternativa del soggiorno argentino dell’artista, sovente cristallizzato in una narrazione che ne sminuisce la portata o la isola, come una bolla temporale, dal resto della sua attività di cui vuole invece offrirsi un profilo critico più articolato, senza soluzione di continuità rispetto alla precedente produzione.[3]

La focalizzazione intorno agli interventi in contesti ambientali pubblici e privati, poco noti ed indagati, permettono una lettura che si svincola dalla produzione maggiore dell’artista, già consolidata dagli studi storiografici dedicati all’attività espositiva di Fontana, offrendo nuove chiavi di lettura. La contestualizzazione e valorizzazione di tale tipo di interventi può contribuire infatti a ridefinire le premesse teoriche ed operative delle conquiste estetiche legate alla Spazialismo che, se si concretizzano al rientro dell’artista in Italia, trovano un campo di sperimentazione e primo sviluppo fattuale in patria. Inoltre, la dimensione sociale connaturata all’opera effimera, che conduce ad una reciprocità di dialogo tra artista e contesto così come alla collaborazione con altre figure professionali (come artisti e architetti), può contribuire a far luce intorno alle relazioni intessute da Fontana con l’ambiente artistico argentino; nei confronti del quale le sue proposte operative –pur nella definizione di linguaggi e modalità operative altre– sembrano muovere in risonanza. A tal fine, oltre agli interventi concepiti per le architetture effimere di vetrine, stand e padiglioni, si indagheranno testimonianze estratte da carteggi, documenti d’archivio, stampa periodica e fotografie del tempo in buona parte inedite o ad oggi poco valorizzate.

 

Tessendo dialoghi: Fontana tra Rosario e Buenos Aires (1940-1943)

Nell’ottica di favorire la vittoria di Lucio Fontana al concorso bandito nel 1940 per il Monumento alla Bandiera destinato a Rosario di Santa Fe, nell’aprile di quell’anno il pittore Juan Bay,[4] amico dell’artista, lo presenta in patria su Conducta con l’articolo: “Lucio Fontana. Escultor rosarino”.[5] Lo scritto sottolinea le qualità di scultore architettonico dell’artista che si vuole presentare “a quel pubblico intelligente e colto che segue da vicino l’attuale movimento plastico e, in particolare, alla nuova generazione di artisti argentini”, dilungandosi per questo nel commento al celebre allestimento del Salone della Vittoria per la VI Triennale di Milano, progetto a cui Fontana aveva partecipato nel 1936 in collaborazione con Marcello Nizzoli, pittore, Giancarlo Palanti, architetto, ed Edoardo Persico, critico.

Con identico proposito Fontana –giunto in patria quello stesso mese[6]– chiede con urgenza a Teresita Rasini[7] documentazioni e foto della sua Testa di Medusa realizzata in cemento mosaicato per la VII Triennale di Milano del 1939.[8] Lavoro che egli desidera dare a conoscere ad artisti e critici argentini, in particolare a José León Pagano,[9] il quale potrebbe avere un peso decisivo nelle sorti dei vari certami che si giocavano a livello nazionale e a cui Fontana partecipa. Grazie all’intervento dell’amico e pittore Julio Vanzo,[10] l’artista era infatti riuscito ad integrarsi nei due principali studi di architettura di Rosario: quello degli architetti Hilarión Hernández Larguía e Juan Manuel Newton, coi quali concorre al Monumento a la Bandera,[11] e quello degli architetti Ermete de Lorenzi, Julio Otaola y Aníbal Rocca per il Monumento al Libertador San Martín destinato a Quilmes, che sarà indetto l’anno successivo.[12]

Ma al di là delle possibilità offerte dai concorsi monumentali, purtroppo tutti sfumati, quello con artisti e architetti è un rapporto che Fontana cerca di intrecciare anche in vista di possibilità lavorative che lo spazio architettonico offre in relazione alla sua produzione più sperimentale, vale a dire quella ceramica, che lo scultore si affretta nel dare a conoscere prima a Rosario, nella mostra alla Galleria Renom condivisa con Vanzo (dicembre 1940) e poi a Buenos Aires alla Galleria Müller, insieme al pittore Attilio Rossi[13] (luglio 1941) (Fig. 1). Stabilitosi nel vecchio studio del padre, in via Rioja 2070, ed appoggiandosi ai forni della fabbrica Comercial Alberdi di Rosario, Fontana realizza entro un brevissimo arco di tempo un nutrito numero di gessi, ceramiche e terrecotte. Pur lamentandosi privatamente con Teresita per la mancanza di mezzi, che dopo la sconfitta dei concorsi monumentali il padre Luigi gli nega, così come dell’assenza di maestranze esperte con cui operare (che ad Albissola Marina o a Sévres invece erano a sua disposizione),[14] dopo diversi tentativi, e con l’aiuto del ceramista valenciano Remo Pascual,  l’artista riesce nell’impresa di produrre una serie di lavori caratterizzati da un’estrema libertà immaginativa, fortemente vitalistici, in cui –come nella precedente produzione– si esplicavano le sperimentazioni intorno alla dialettica materia-luce—segno-spazio.

In una lettera a Teresita Fontana scrive:

Lunedi ò (sic) inaugurato la mostra con Attilio Rossi di Milano […] un successo enorme di pubblico, credo che avrò anche una bella critica e spero anche vendere qualcosa […] L’unico vantaggio che ò avuto fin’ora è avere conosciuti [sic] all’inaugurazione un gruppo di arquitetti [sic] moderni che sono rimasti entusiasti delle mie ceramiche e sculture e mi promisero lavoro, siccome sono molto importanti e fanno grandi costruzioni moderne spero in bene.[15]

Un resoconto simile Fontana lo fa anche al fratello Zino (residente a Rosario) a cui, durante lo smontaggio della mostra, racconta dell’ottima critica ricevuta, sottolineando quanto questa gli servirà per fare buona impressione su critici e architetti.[16]

Per il momento, i successi espositivi così come le vittorie al Salón Nacional di Buenos Aires[17] favoriscono a Fontana l’assegnazione di una cattedra in “Decorazione” presso l’Accademia Nazionale di Belle Arti Prilidiano Pueyrredón di Buenos Aires, città in cui l’artista si trasferisce nell’aprile del 1943. Qui, in attesa dell’esito del concorso a San Martín, lo scultore spera di trovare maggiori occasioni lavorative, oltre che un ambiente artistico più vivace e meno ostile rispetto a quello rosarino, con cui era entrato in collisione.[18]

Come già a Rosario, sin dal suo insediamento nella metropoli, Fontana si affretta ad intessere una rete di relazioni con intellettuali, artisti e critici del posto: conosce e stringe amicizia con Margherita Sarfatti e, grazie ad Attilio Rossi, che collabora con la rivista Sur, si avvicina alla cerchia di intellettuali antifascisti gravitanti intono a Victoria Ocampo. Forse è insieme ad essi che Fontana progetta di istituire a Buenos Aires una Triennale d’arte americana che, come nella rassegna italiana, possa prevedere una collaborazione tra pittori, scultori e architetti.[19] Condizione che l’artista ritiene indispensabile ai fini della “pura progettualità”, che gli permette di tentare “su sollecitazione degli stessi collaboratori, soluzioni formali inedite”.[20]

A pochi mesi dal suo arrivo a Buenos Aires, Fontana ha in cantiere anche il progetto della decorazione di un bar nella città di Tucumán.[21] Impossibile non pensare al precedente milanese del bar Craja, opera di “design totale” progettato dall’architetto Luciano Baldessari con Figini e Pollini, le cui decorazioni erano state affidate ai giovani artisti gravitanti intorno alla Galleria Il Milione, Fausto Melotti e Marcello Nizzoli. Qualche giorno dopo Fontana scriverà proprio all’amico Baldessari, allora riparato a New York:

Io da circa un anno vivo a Buenos Aires dove mi chiamarono per un posto da professore all’Accademia Nazionale, però essendo provvisorio lo stipendio è ridotto e vivo sulle spine […] il vantaggio è di vivere in una grande città che per quanto il movimento artistico sia relativo è sempre superiore a Rosario. Ho pure avuto la fortuna di vincere in questi due anni due primi premi di scultura al Salón Nacional, il denaro mi servì per tirare avanti la baracca fino ad ora e poter lavorare –a poco a poco mi sto facendo conoscere– e così poter ottenere qualche lavoro da architetti, perché vendere a particolari è difficilissimo non esistendo si può dire il collezionista o amatore d’arte, di modo che la salvazione è il professorato o la fortuna di un monumento. Sono passati vari anni e comincio a sentire la nostalgia della buona arte. Qui a Buenos Aires mi trovo spesso con la signora Sarfatti, si parla molto degli artisti ed essendo molto relazionata all’ambiente intellettuale con la sua esuberanza e intelligenza acchiarisce molte polemiche d’arte.[22]

L’insieme di questi indizi confermano il desiderio di Fontana di riprendere la fila di un discorso interrotto sin dalla sua dipartita in Italia che era quello dell’applicazione della scultura alla dimensione ambientale.

 

La prima vetrina Harrods (1944)

Sfumato il progetto di Tucumán, l’occasione si presenta all’artista quando pochi mesi dopo viene invitato dai magazzini Harrods a partecipare alla rassegna “El arte en la calle” (maggio del 1944).[23] La filiale porteña della casa commerciale inglese, che aveva sede in un imponente edificio a sei piani realizzato in ferro e vetro, con grandi vetrine al pian terreno che davano su calle Florida, centro della vita sociale porteña, nel 1940 aveva dato avvio ad un originale progetto che affidava la realizzazione delle sue vetrine ad artisti argentini di dichiarata fama.[24] Fontana, forte della sua nuova vittoria al Salón Nacional con Hombre del Delta (primo premio), entrava a far parte di una rassegna che –nota per l’originalità e la sperimentalità delle proposte adottate da parte degli artisti– per la prima volta gli dava modo di verificare l’uso integrato delle arti in totale libertà. La centralità dello spazio gli concedeva inoltre una visibilità tale da rendere la proposta un’occasione unica di sperimentazione di un intervento ambientale di impatto sociale.[25]

All’edizione del 1944 oltre a Fontana, che interviene nella vetrina “Abiti da festa”, partecipano Alberto Lagos[26] (Tessuti), Jorge Larco[27] (Maglieria), Pedro Domínguez Neira[28] (Biancheria), Héctor Basaldúa[29] (Abiti da strada), Raquel Forner[30] (Cappelli), Antonio Berni[31] (Sports), Horacio Butler[32] (Pelli) e Raúl Soldi[33] (Accessori).

Da questo insieme eterogeneo di artisti, molti dei quali accomunati dall’insegnamento nelle accademie di Belle Arti di Buenos Aires, possono enuclearsi due cellule: quella legata all’appartenenza al “gruppo di Parigi” (che interessava Forner, Berni, Neira e Basaldúa) caratterizzato da linguaggi che, nati in seno ai movimenti di ritorno all’ordine, facevano ricorso ad una figurazione che si mostrava di rottura rispetto alla tradizione per via delle componenti post espressioniste o surrealiste che vi agivano; e quella “milanese” –vicino alla galleria Il Milione, sede della nascita dell’astrattismo italiano e dei gruppi anti-novecentisti– composto da Fontana e dal “chiarista lombardo” Raúl Soldi. Questi ultimi, con l’aggiunta del pittore e scenografo argentino Jorge Larco, avrebbero integrato il gruppo di Altamira, la libera accademia fondata dal critico Jorge Romero Brest e dall’editore Gonzado Losada.[34]

In un’epoca di radicalismi politici ed estetici, la vetrina Harrods metteva a confronto artisti operanti in un “territorio eclettico e senza dogmatismi [..] che raramente condividevano uno spazio comune”, offrendo occasioni di confronto e dialogo.[35]

Rispetto alle vetrine realizzate dai colleghi, legate alla figurazione, tanto la vetrina di Soldi che quella di Fontana abolivano l’utilizzo del manichino o l’inserimento della figura umana per dirigersi verso un tipo di rappresentazione più astratta e minimale. Tuttavia, gli stimoli derivati dall’incontro e confronto con personalità artistiche di differente formazione e provenienza così come la libertà operativa concessa da Harrods, offrivano a Fontana nuovi stimoli oltre che il contesto ideale in cui rendere operative quelle problematiche legate al rapporto forma–spazio su cui lavorava da circa un decennio e sulle quali in Argentina continuava a congetturare. Ne sono prova la produzione grafica di quegli anni, sempre più aperta ad una dimensione sub-cosciente dell’intenzionalità artistica, così come l’allestimento concepito per “Abiti da festa”[36] (Fig. 2), che è una sorta di teatrino, tra l’ avveniristico e l’onirico: alla base, un agglomerato organico di ceramica smaltata (o gesso colorato) evoca la pelle di un animale tigrato che sembra far da tappeto all’entità impercettibile che immaginiamo entro l’elegante abito da sera; quest’ultimo è sospeso a fili di ferro fluttuanti che, come segni liberi nello spazio (quasi un preludio all’arabesco in neon concepito per la IX Triennale di Milano del 1951 insieme a Baldessari) si aggrovigliano in alcuni punti (alla maniera del disegno Equatore, realizzato in Argentina),[37] per evocare farfalle in volo, in un originale rapporto dinamico fra spazio, materia e segno.

 

Exposición del I Aniversario de la Revolución del 4 de junio de 1943 (1944)

La possibilità di collaborare nuovamente in rapporto con l’architettura si realizza per Fontana a pochi giorni dall’inaugurazione delle vetrine Harrods. Nel maggio del 1944, in qualità di docente delle accademie di belle arti nazionali, l’artista viene infatti coinvolto nei preparativi dell’Esposizione allestita in occasione dei festeggiamenti per la commemorazione del I Anniversario della “Rivoluzione del 4 giugno 1943”.[38] Obiettivo della manifestazione era celebrare i trionfi culturali ed economici raggiunti nel primo anno dal governo militare così come il corso della nuova politica che, sin da subito, fu fortemente influenzata dall’azione del generale Juan Domingo Perón (per quelle date Segretario del Lavoro e della Previdenza Sociale e Ministro della Guerra).[39]

Del coinvolgimento di Fontana nell’esposizione si ha notizia grazie al carteggio che l’artista intesse col padre Luigi Fontana, allora residente a Rosario: nella lettera redatta da Buenos Aires il 29 maggio 1944, l’artista comunica al genitore che sta “lavorando da mattina a sera come un forsennato per terminare una Minerva di 3,5 m. da collocarsi nella Esposizione del 4 giugno”. Dice inoltre che, avendo il governo approfittato delle scuole di Belle Arti, “i professori eseguiscono i bozzetti che vengono realizzati poi dagli alunni” e quindi “tutto è gratis”.[40]

La direzione artistica dell’evento, sancito con decreto ministeriale del 12 maggio 1944, è affidata a Jorge Sabaté, docente all’Accademia Prilidiano Pueyrredón, scenografo ed architetto razionalista.[41] Commissario generale dell’esposizione è don Sergio Chiappori, Direttore Generale della Propaganda di Stato e uomo di fiducia di Perón, mentre l’organizzazione spetta al sottosegretario dell’informazione, il maggiore Juan Carlos Poggi.[42] L’incarico a Sabaté giunge come naturale conseguenza del successo ottenuto l’anno precedente dalla Prima Feria del Libro che aveva inaugurato la serie di padiglioni ed esposizioni che lo avrebbero visto impegnato per più di un decennio in questo tipo di committenze statali, tanto da essere identificato come lo “scenografo urbano” del peronismo.[43] Di fatto le varie manifestazioni pubbliche curate da Sabaté, dislocate nei punti nevralgici della città di Buenos Aires (e poi del paese), furono un importante strumento di propaganda politica del peronismo che si avvalse, tra le altre cose, dell’utilizzo della retorica celebrativa e dell’impatto visivo di grandi apparati effimeri per ottenere consensi da parte delle masse popolari.[44]

L’Esposizione del I Anniversario della Rivoluzione del 4 giugno 1943 si sviluppa occupando la zona antistante l’obelisco della Avenida 9 de Julio, il cuore della città di Buenos Aires, nello spazio compreso tra le strade Sarmiento e Cangallo.[45] L’area è suddivisa in due macro-zone: quella compresa tra il “Viale d’ingresso” attiguo all’obelisco e il “Portico d’accesso”, destinata alle parate militari; quella che dal “Gran cortile”, riservato alle cerimonie e ai cortei ufficiali, si conclude col “Gran palco d’onore” che a sua volta ospita l’“Altare della patria”, coronato da una bandiera nazionale che sventolava all’altezza di 30 metri (Fig. 3).[46]

Il “Portico d’accesso”, struttura dominante dell’intera architettura, è costituito da una serie di alti piloni rastremati da bandiere ed ornati, nella parte centrale, da quattro statue monumentali di 4,7 metri. Un piano orizzontale lo percorre, facendo da spazio di transizione tra l’ingresso e il cortile delle cerimonie dal quale, a sua volta, si accede al sottosuolo.[47] L’allestimento si sviluppava infatti su due livelli, sfruttando i parcheggi sotterranei dell’Avenida 9 de Julio.[48] Nel sottosuolo, un “Grand Hall” faceva da spazio di raccordo per il flusso di entrata e uscita del pubblico.

Se la struttura in superficie era destinata ad accogliere il pubblico e le parate militari che avrebbero accompagnato l’evento, nel sottosuolo erano allestiti gli stand della mostra vera e propria, suddivisi secondo i ministeri governativi, che dovevano esaltare la produzione tecnica, economica e culturale del paese. Erano inoltre previsti spazi didattici e quelli destinati all’intrattenimento di un pubblico eterogeneo, come il cinema e le orchestre che avrebbero suonato musica folkloristica e popolare.[49]

Tanto la geometricità dei volumi puri e di ritmo regolare disegnati da Sabaté, rispondenti ai principi del razionalismo, quanto la sintesi plastica che caratterizza le sculture del portico d’accesso, favoriscono il dialogo con l’architettura dell’obelisco, conferendo armonia all’insieme.[50] Ma nel sottosuolo, dovendo operare in un contesto preesistente –che era quello del grande parcheggio sotterraneo–, Sabaté personalizza gli spazi inventando una nuova ambientazione, evocativa dell’impianto di una basilica romana. Individuato un’asse visivo, quello costituito dalla strada centrale del parcheggio, e sfruttando la scenografia dei pilastri poligonali rastremati verso il basso, già presenti, l’architetto trasforma la strada –cadenzata da un susseguirsi di bandiere– in una lunga navata ribattezzata “Avenida delle Bandiere” (Fig. 4). Ai lati di questa, entro le “campate” dei colonnati laterali, si sviluppano i vari stands, destinati ai diversi ministeri del governo. Quest’asse centrale è a sua volta delimitato ai lati dal cinematografo e dal Padiglione destinato al Ministero della Guerra, confinato da una parete concava in simil marmo davanti alla quale si staglia la figura di Minerva realizzata da Lucio Fontana (Fig. 5).

In linea con le esposizioni internazionali nate sul finire del XIX secolo e fedele ai principi del razionalismo, Sabaté progetta uno spazio entro cui pittura, scultura e architettura si integrano in modo funzionale e stimolante. L’architetto si avvale a tal fine dell’intervento dei docenti della Scuola Superiore d’Arte Ernesto de la Cárcova e dell’Accademia di Belle Arti Prilidiano Pueyrredón[51] cui affida, singolarmente o in equipe, le decorazioni delle diverse sezioni, le quali dovevano allinearsi al programma iconografico stabilito. L’assistenza è fornita da studenti delle accademie che, come nel caso della scultura, lavorano da modellini in scala ridotta realizzati dai docenti (Fig. 6). Sabaté coordina gli operai nei lavori di montaggio e decorazione dei pannelli leggeri, realizzati con l’innovativo materiale in celotex; addossati alle strutture tubolari che costituiscono l’architettura effimera dell’esposizione, i pannelli sono rivestiti con lamiere o cartone dipinto in simil marmo, in un dispiegamento intenzionale dei moderni prodotti dell’industria argentina e delle risorse artigiane del paese.

Rispetto alla Feria del Libro, dove la pittura murale aveva giocato un ruolo chiave nell’allestimento, all’Esposizione del 4 giugno il ruolo d’onore sembra affidato alla scultura: il portico d’accesso è infatti ornato con figure allegoriche monumentali rappresentanti il «Lavoro» (opera di Donato Antonio Proietto)[52], le «Arti e le Scienze» (di Orestes Assali),[53] la “Marina” e l’Esercito” (eseguite dallo scultore Ernesto Soto Avendaño).[54] Il “condor delle Ande” collocato sul palco d’onore è invece opera di Mario Arrigutti.

Nel livello inferiore un grande murale nel “Gran Hall”,[55] –eseguito da Dante Ortolani[56] su bozzetto di Alfredo Guido,[57] entrambi noti muralisti–, dialoga con un bassorilievo, opera di Aquiles Sacchi (Fig. 7). Dal punto di vista stilistico e dell’iconografia, questi lavori si ponevano in linea con i postulati estetici dominati da un’ideologia di impronta nazionalista dove le arti (ed in particolare la pittura murale) erano pensate al servizio dello stato e della costruzione di una grammatica figurativa di facile lettura, tesa al recupero di componenti indigene e americaniste, capaci di offrire modelli di riferimento altri rispetto a quelli del Vecchio Mondo considerati, specie  dopo lo scoppio della II Guerra Mondiale, ormai obsoleti e superati.[58]

Rispetto a questo insieme di opere, la figura di Minerva concepita da Lucio Fontana si colloca come possibilità plastica altra che arricchisce, differenziandose ne, la ricerca dei linguaggi della modernità interpretati in chiave ispano-americana dal gruppo di Guido. Questa “diversità” è senz’altro prevista e voluta da Sabaté, la cui scelta di destinare a Fontana il padiglione centrale della mostra non fu certo casuale: era ben noto in Argentina l’impegno dell’artista nella scultura architettonica, come quella concepita per il celebre Salone della Vittoria della Triennale di Milano del 1936 (ricordato nell’articolo di Juan Bay) o per l’Exposition Internationale des Arts et des Techniques di Parigi del 1937 dove, oltre al Padiglione delle Compagnie di navigazione italiane realizzato da BBPR, Fontana aveva eseguito anche una monumentale figura scultorea di Italia che presentava non poche analogie con la Minerva. Inoltre, se si considera che sin dalla mostra da Müller Fontana era entrato in contatto con un gruppo di architetti “moderni” che, entusiasti delle sue ceramiche gli avevano promesso lavoro, si comprenderà come la commissione per l’Esposizione del 4 giugno fosse probabilmente il frutto di questa rete di relazioni.

La Minerva, infatti, è destinata ad ornare e nobilitare il punto nevralgico dell’esposizione, quello riservato al Ministero della Guerra, presieduto da Perón, che era già il personaggio predominante della scena politica argentina (Fig. 8).

Il 24 maggio, mentre probabilmente Fontana lavorava alla scultura, il generale si premurò di visitare personalmente l’allestimento (Fig. 9), soffermandosi in particolare nei settori di propria pertinenza: quello dedicato alla “Segreteria del Lavoro e della Previdenza Sociale” e quello del “Ministero della Guerra” che, oltre all’opera di Fontana, comprendeva i pannelli dipinti dal pittore e scenografo Rodolfo Franco:[59]

Il Ministro della Guerra si fermò soprattutto presso i corrispondenti posti del suo dipartimento, eseguiti su bozzetti, sotto la direzione immediata dell’artista Rodolfo Franco, e diede istruzioni circa la distribuzione dei materiali moderni da esporre. Il colonnello Perón ha poi visitato il resto della mostra, e […] ha parlato con il signor Alfredo Guido, direttore della Scuola Superiore di Belle Arti, che gli ha spiegato l’ideazione dei grandi pannelli decorativi.[60]

La centralità del padiglione dedicato al Ministerio de Guerra fa sì che l’opera di Fontana occupi un posto di rilievo dal punto di vista simbolico e visivo, collocata com’è al fondo di Avenida delle Bandiere, la lunga navata cadenzata dai pilastri poligonali –illuminati per quest’occasione da fari posti all’altezza del “capitello” e rivolti verso il soffitto– e conclusa dalla proto-abside marmorea recante la scritta “Patria armata Pace onorata”. Dietro a questa, ma nascosta alla vista di chi osserva la scultura, si dispiega lo stand con le pitture di Franco, contribuendo alla pulizia formale dell’insieme che permette alla Minerva di spiccare per la sua monumentalità e policromia. Il potenziale simbolico della scultura è esaltato dalla “retorica sacralizzante” e “liturgica” degli spazi” architettata da Sabaté che, nell’evocazione delle forme di un’architettura sacra, collocata per di più in un ambiente ipogeico, ripete “nel linguaggio e nei modi il rituale cristiano”,[61] in un’ottica non distante dalla ritualistica fascista.

Coadiuvato da Chiappori, Direttore Generale della Propaganda di Stato, e dallo stesso Perón, –che prodigava consigli e lodava gli «artisti presenti per la velocità e l’affiatamento del gruppo che si traduce nell’esecuzione del loro lavoro»–,[62] gli allestimenti di Sabaté diventano “spazi sacri” destinati ad una “massa liturgica” che celebra i novelli “riti della patria”[63] ed il culto del generale.

In questo contesto di retorica celebrativa Minerva, dea della saggezza e della guerra giusta, è assimilata alla personificazione della patria armata, secondo il procedimento elaborato da Dante Ortolani nel mural per la Feria del Libro[64] e ripreso da Alfredo Guido in quello d’ingresso all’Esposición de la industria argentina del 1946,[65] modello iconografico a cui Fontana fu probabilmente invitato a guardare. Posta sopra un basamento di circa 1 m di altezza rivestito in pietra, la dea è rappresentata stante ma a braccia e gambe divaricate, armata di elmo, scudo e lancia; indossa calzari e una corazza che le cinge il petto. Quest’ultimo elemento si fonde al peplo fortemente drappeggiato che fascia il corpo della divinità fino alle ginocchia. Il serpente Erittonio si attorciglia intorno al braccio destro teso della dea che stringe la lancia, la quale si allunga fino a toccare terra, contribuendo all’equilibrio della scultura ma trasbordando fuori dai convenzionali limiti dello spazio iconico. Fontana asseconda la bidimensionalità indotta dal punto di vista frontale della scultura per relativizzarne la componente spaziale. Pur inquadrata entro un immaginario parallelepipedo, la figura ne sfonda i limiti imposti attraverso l’intervento coloristico e formale, aprendosi ad uno spazio altro.

La componente vitalistica dell’immagine è sottolineata infatti dal modellato fortemente espressivo e da un innovativo utilizzo dei colori: per la decorazione della scultura, realizzata in gesso su un’armatura di ferro, Fontana si serve di colori contrastanti, nero e argento, oltre che di vernici riflettenti, le quali sfruttavano il riverbero delle luci artificiali nel sottosuolo per produrre sull’immagine suggestivi effetti di interazione spaziale.

Nell’opera Fontana si allontana dalla produzione presentata ai saloni ufficiali argentini per porsi maggiormente in linea con esiti figurativi che sembrano collocarsi a metà tra la Vittoria dell’aria (pensata per la Mostra dell’Aeronautica del 1934) e la personificazione di Italia (scultura monumentale in gesso realizzata per l’Exposition Internationale des Arts et des Techniques di Parigi del 1937).[66] Rispetto a quest’ultima, Minerva risulta meno rigida e compassata grazie alla posa aperta che la caratterizza e all’impiego spazialista del colore. Secondo un modo di procedere che Fontana aveva già sperimentato in Italia lavorando in collaborazione con gli architetti, è possibile che l’artista sia stato sollecitato dal contesto all’impiego di un linguaggio tecnico e formale innovativo, capace di dar voce alla sua ricerca espressiva più vitalistica.[67]

Piuttosto che guardare al modello Ortolani-Guido, Fontana sembra volersi rifare a quello archetipico offerto dall’Atena Parthenos di Fidia, nella probabile intenzione di evocare una solennità dell’immagine di carattere universale. Rispetto al recupero primitivo storicistico imperante nelle restanti raffigurazioni della mostra, l’intervento gestuale e coloristico messo in atto dall’artista riesce infatti nell’intento di modellare una figura dal linguaggio atemporale: come un’apparizione proveniente da una dimensione che non ha inizio né fine ma è il prodotto di un perpetuo divenire, la Minerva di Fontana si staglia imperiosa, carica di vitalità, come una dea dell’energia che sovrasta l’uomo e le sue utopie (Fig. 10).

La scultura della Minerva venne realizzata da Fontana col supporto tecnico di María Cristina Molina Salas,[68] interessante figura del panorama artistico argentino. Diplomata alla Scuola Superiore di Belle Arti Ernesto de la Cárcova nel 1941 e perfezionatasi nell’atelier di Ossip Zadkine, era probabilmente allieva di Fontana all’Accademia Prilidiano Pueyrredón. Tra i due si era stabilito un forte sodalizio artistico tanto che La mujer de Lot, opera di Fontana esposta al Salón Independiente del 1945, farà parte della collezione della scultrice.[69] Nel corso della sua produzione Molina Salas, che “lavora il gesso in modo diverso per ottenere infiniti piani che si scontrano”, con “masse corporee” che “cercano di dinamizzare lo spazio”, mostra un’evidente vicinanza ai dettami plastici del rosarino.[70] Molina Salas è anche una figura chiave per il contatto tra Giorgio Amelio Roccamonte, che frequentava il suo studio, e Fontana, favorendo l’ingresso del giovane artista ad Altamira e nella cerchia degli spaziali.

Così come per la Feria del Libro, l’Esposizione della Rivoluzione del 4 giugno viene montata e smontata nell’arco di 15 giorni. Fontana, che solo sporadicamente comunica al padre le attività artistiche nelle quali è coinvolto (preferendo come interlocutore il fratello Zino) deve essere particolarmente soddisfatto dei risultati raggiunti per riferire al genitore che per quanto il tempo a disposizione per realizzare i lavori fosse breve, la mostra “credo […] risulterà interessante”.[71]

 

La risonanza nei media locali: Histonium (ottobre 1944)

Non sappiamo invece quali effetti possa aver suscitato tra i media argentini la partecipazione di Fontana all’evento, visitatissimo per pubblico, nel cui contesto la sua Minerva si distaccava per l’originalità del linguaggio formale adottato, plasticamente molto diverso persino dalla stessa produzione che caratterizzava le opere del rosarino inviate ai saloni nazionali.

Quel che è certo è che la critica locale aveva compreso le qualità di perpétuum mobile dell’artista «recuperato dall’arte argentina non sappiamo fino a che punto e per quanto tempo, se dobbiamo attenerci ai suoi antecedenti di vita e variabilità costruttiva”.[72]

Nell’ottobre del 1944 la rivista Histonium dedica infatti a Fontana un articolo a firma di Ricardo E. Ratti che è un’importante testimonianza della ricezione della portata complessiva del lavoro dell’artista in patria.[73] Il critico, che opta per commentare la produzione argentina mediante le didascalie alle riproduzioni fotografiche,[74] introduce l’artista a partire dal suo profilo “internazionale” di ceramista ad Albissola Marina e Sèvres e di figura impegnata nella scultura monumentale, di cui si portano ad esempio i padiglioni realizzati per la VI Triennale di Milano così come quelli progettati per l’E42 di Roma (Fig. 11).

Di Fontana è colta la polarità estetica, in cui agiscono “due forze centrifughe o segni di direzioni diverse: una tendenza astrattista di traboccante fantasia e un’azione materializzante, carnale, vitalistica, trofica”, così come la polifonia della sua produzione, che spazia da quella ceramica appunto, circostanza sperimentale dello scultore che “… maneggia l’argilla con eloquente diavoleria e poi la colora astrusamente in ‘oro e nero’, ‘rosa e bianco’, ‘argento e blu’, per assecondare l’ondulazione di toni armonici o dissonanti, molto semplicemente, aiutando la forma nel suo movimento misterioso…alla statuaria monumentale la quale si esprimerà ad alta voce, se possibile, gridando, come fa nel progetto per il Palazzo dell’Acqua e della Luce (Roma, 1942). Questa franchezza […] non varia quando diventa realistica, come accade nel Muchacho del Paraná”.[75]

È significativo, in sostanza, che di Fontana sia colto tanto il vitalismo immaginativo, materico e coloristico in senso spaziale, quanto il libero impulso che ne caratterizza l’agire creativo, che permette all’artista di trasformare “una linea, un uomo, un fondale marino, una donna, un eroe, un fiore o una farfalla” in “entità astratte e dinamiche cariche di fluido cinetico”.[76]

È nell’ottica di questa libertà d’azione, –che l’artista applica anche nei confronti del panorama intellettuale e artistico porteño, scisso tra fazioni politiche antagoniste, tra istanze totalitariste e progressiste che generavano un clima di forti tensioni e rispetto alle quali Fontana sembrava volersi professarsi neutrale–, che la produzione di questi anni andrebbe dunque letta.

 

Mostra delle industrie minerarie e affini (1944)

Nel novembre del 1944 Fontana viene nuovamente coinvolto da Sabaté nella partecipazione ad una commissione statale: la Mostra delle industrie minerarie e affini, inaugurata il 10 dicembre del 1944 sotto la “Direzione Autarchica delle Opere”(Fig. 12).[77] Come il precedente, l’evento si tiene a Buenos Aires, presso l’obelisco dell’Avenida 9 de Julio, e nuovamente si sviluppa su due livelli. Tuttavia, l’aspetto del padiglione progettato da Sabaté per questa occasione varia notevolmente rispetto al precedente, puntando su effetti scenografici maggiormente didascalici: in armonia col tema della mostra, le architetture effimere si ricoprono di materiali evocativi della pietra. Si sviluppano inoltre lungo piani orizzontali interrotti da un unico elemento verticale, costituito da una colossale scultura rappresentante Pachamama coi minatori, opera di Troiano Troiani.[78] La scultura, alta 16 metri ed il cui peso superava le 15 tonnellate, è realizzata con un’armatura di ferro e rivesta in simil pietra.[79] In raccordo con la scultura, un grande murale di circa 20 metri rappresenta “un’immensa madre terra che contiene […] tutta la materia organica e inorganica che essa fornisce e, soprattutto, le industrie che derivano dalla sua estrazione”(Fig. 13).[80] In linea coi principi di un’arte di destinazione sociale, il linguaggio adottato dall’equipe Guido-Ortolani, nuovamente impiegata, è “nettamente popolare e didattico”, fruibile quindi da un vasto pubblico, tanto quanto il linguaggio scultorio –sintetico e arcaicamente andino–, della Pachamama.

Rispetto alla manifestazione precedente, inoltre, si ampliava la proposta di intrattenimento per il pubblico per il quale erano previste numerose attività ricreative come bar, caffetterie, un cinema e un grande teatro all’aperto (Fig. 14).

Nuovamente, un’eccezione dal punto di vista iconografico e formale è costituita dall’intervento di Lucio Fontana alla mostra: sebbene non sia stata ancora rilevata una documentazione che ne attesti la paternità, le testimonianze fotografiche dell’allestimento e le notizie ricavabili dal carteggio dell’artista suggeriscono che egli possa aver partecipato alla realizzazione dei due grandi bassorilievi destinati ad ornare la facciata del teatro all’aperto. Si trattava di due sculture dal peso di 7 tonnellate l’una divise in 2 grandi blocchi, poi assemblate e addossate alla parete del teatro. Le opere vennero realizzate in loco, in appositi galpones costruiti per l’occasione dove gli artisti lavoravano coadiuvati da allievi e operai.

Le sottili silhouettes di quelle che sembrano essere due “Muse volanti”, immaginate da Fontana con gambe divaricate e braccia aperte a sostenere il panneggio che le fa librare nello spazio, ricordano per concezione i bassorilievi addossati alle pareti creati per la colonia elioterapica di Legnano (realizzata con lo studio BBPR tra 1937 e 1938), dove figure monocrome «modellate in leggero rilievo […] aderenti alla parete come pitture murali» si stagliavano su pareti dai fondi neutri.[81] Poste su entrambi i lati dell’ «arcoscenico», le figure in gesso bianco di Fontana infrangono la trama dei pannelli di hardboard che costituiscono la parete e risaltano sul colore grigio neutro del fondo grazie all’effetto della luce diurna che le rende riflettenti, conferendo un potere astrattivo alla composizione. La morfologia delle Muse, disposte orizzontalmente nella parete, non è lontana poi da quella che caratterizza le protagoniste del Volo di Vittorie realizzato da Fontana per il Sacrario dei martiri fascisti a Milano in collaborazione con l’architetto Portaluppi (1939).[82] Manca tuttavia in loro la ricercatezza del panneggio bagnato che caratterizzava queste ultime, sostituito da un modellato più tosco che potrebbe essere dovuto alla necessità di armonizzare l’intervento al carattere dell’allestimento o semplicemente porsi in linea con le scelte stilistiche adottate dall’artista in lavori coevi come La mujer de Lot (1944-1945).

Rispetto all’allestimento precedente, l’impressione generale che si ha è quella di una virata populista in seno alla regia della manifestazione, sui cui un peso maggiore dovettero averlo le scelte di Perón. A due settimane dall’inaugurazione, Fontana scriveva al fratello di essere “impegnato dalla mattina alla notte nella Esposizione del Minerale che inaugureranno il 10 dicembre e figurati che oggi abbiamo lavorato fino alle 7, è un lavoro un poco materiale però alla fine si guadagna ‘para el puchero’”.[83]

 

La seconda vetrina Harrods (1946)

Nonostante l’originalità delle proposte introdotte nelle rassegne statali coordinate dall’architetto Jorge Sabaté, la partecipazione ed il rilievo occupato da Fontana all’interno di queste manifestazioni possono aver giocato a sfavore dell’artista, visto con sospetto da una parte del mondo artistico porteño.[84] Malgrado ciò, la contemporanea vicinanza a personaggi quali Jorge Romero Brest (affiliato al partito socialista) e all’editore Gonzalo Losada (esponente del gruppo degli esiliati dalla Spagna franchista), –insieme ai quali Fontana fonderà sul finire del 1945 la Scuola di Arti Plastiche Libere Altamira–, così come la partecipazione dell’artista al Salón Independiente di quello stesso anno, provano piuttosto quanto lo scultore mirasse a mantenere una posizione neutrale entro le sponde ideologiche che scindevano il mondo intellettuale argentino.[85] A ben vedere, ciò che sembrava unicamente preoccupare Fontana era infatti avere i mezzi e la possibilità di lavorare liberamente, portando avanti la propria ricerca espressiva, fiducioso di contribuire in tal modo all’arricchimento del panorama artistico del proprio paese così come al rinnovamento della società attraverso il mezzo dell’arte.

Una nuova occasione in questo senso gli arriva nuovamente dai magazzini Harrods che lo invitano all’edizione “El arte en la calle” del maggio 1946. Con qualche eccezione, l’esito visivo di questa rassegna mostra un accentuarsi delle incursioni surrealiste adottate nelle vetrine tanto da artisti familiari a questo linguaggio, come Raquel Forner, Antonio Berni o Orlando Pierri, del Grupo Orión[86], quanto da coloro la cui produzione era recepita dai media locali come “astratta”, come Juan del Prete e Fontana.[87] In continuità col lavoro del ’44, la vetrina Pellicce di quest’ultimo (Fig. 15) sfrutta le possibilità offerte dallo spazio effimero per sperimentare un intervento artistico totale che integra pittura, scultura, luci, colori ed elementi estrapolati dal mondo contemporaneo, ponendosi come antesignano dei futuri ambienti spaziali. L’allestimento, che andrebbe messo in relazione con due disegni intitolati Concetto spaziale databili al 1946, che si direbbero preliminari al progetto,[88] prevede la presenza di pitture biomorfe che si espandono nello spazio emergendo, forse grazie all’utilizzo di colori luminescenti, dal colore uniforme di pareti e pavimento. Queste forme organiche sembrano farsi sostanza plastica fino a condensarsi nella creatura-gruccia, a metà tra l’umano e l’ameboide, che veste la pelliccia esposta. Ad essa fa da contrappunto, a destra, un grande elemento plastico dalle forme fluide e astratte. Un brulicare di vita che contrasta con l’inerzia della volpe imbalsamata in primo piano. Nei ricordi tramandati da Roccamonte, la vetrina prevedeva inoltre un meccanismo grazie al quale si produceva una vibrazione continua sui vetri,[89] creando un effetto luministico-cinetico di forte impatto visivo sul pubblico, spettatore di uno spazio “atemporale” in cui componenti organiche primordiali convivevano dialogando con la tecnologia dell’uomo moderno. Davanti alla vetrina, “a metà strada tra scenografia e allestimento espositivo”,[90] entrava infatti in gioco la componente psicologica dello spettatore, in dialogo passivo o attivo con l’intervento dell’artista. Quasi un preludio alla sperimentazione dell’Ambiente spaziale con luce nera installato nella Galleria del Naviglio di Milano il 5 febbraio 1949.

Era la premessa fattuale al Manifiesto Blanco, redatto tra l’ottobre e il novembre del 1946 da B. Arias, H. Cazenueve e M. Fridman, allievi di Fontana, e promosso con un happening urbano prontamente fermato dalla polizia.[91] Il testo, letto dallo stesso Tomàs Maldonado quale risposta provocatoria al suo Manifiesto Invencionista, demarcava una distanza rispetto al nascente gruppo degli astrattisti concretisti gravitanti intorno alla rivista Arturo, celebratori della razionalità a scapito delle componenti inconsce e istintive dell’individuo che invece Fontana tendeva ad accentuare.

 

Conclusioni

In coerenza con la precedente attività, negli anni argentini Lucio Fontana continuò le sperimentazioni linguistiche intorno all’idea di una scultura architettonica e ambientale, capace di adattarsi alle esigenze dell’uomo moderno. Gli originali esiti plastici raggiunti nelle ambientazioni effimere di stand, padiglioni e vetrine, pur stabilendo confini e distanze rispetto al panorama artistico porteño (Grupo de París, americanisti, pittori socialisti, concretisti, ecc.), lungi dall’intendersi quali arroccamenti estetici da parte dell’artista, vanno letti nell’ottica di una reciprocità di stimoli. Fu intatti sfruttando tutte le possibilità offerte dall’ambiente in cui operava e avvalendosi di una fitta rete di relazioni costituita da architetti, critici, artisti, letterati e allievi, che Fontana portò a maturazione alcuni dei postulati fondanti della sua poetica, lasciando un segno indelebile nel mondo delle arti. Così, al ghigno amaro con cui rispondeva a chi gli chiedeva “Cosa ha fatto lei per la nostra arte?”[92] Fontana, sapeva anche sostituire slanci fiduciosi e ironici:

Salutami Melotti [digli che il suo amico] tiene ancora duro, e la sua apparizione a B. Aires a [sic] scatenato un cataclisma! Non farò monumenti ma sono ancora l’artista generoso che faccio correre un poco di sangue nelle vene dei ritardatari. Naturalmente i miei baffi sono sempre fatali![93]

 

 

 

Notas

[1] Cfr. Paolo Campiglio, Lucio Fontana. La scultura architettonica negli anni Trenta (Nuoro: Ilisso, 1995), 10-12, 35-41.

[2] Campiglio, Lucio Fontana. La scultura architettonica…, 7.

[3] Per una rilettura dell’esperienza argentina, vedi Lorena Mouguelar, “Lucio Fontana en Argentina: relecturas”, Separata, CIAAL-UNR, 10, no 15 (2010): pp. 38-55.

[4] Juan Bay (1892-1978), formatosi a Brera e militante nelle file futuriste, negli anni ’30 si avvicina all’arte astratta. Con Lucio Fontana e altri astrattisti gravitanti intorno alla Galleria Il Milione, partecipa nel 1936 alla Prima esposizione di disegni e incisioni astratte alla Galleria Moody di Buenos Aires, curata da Attilio Rossi.

[5] J. Bay, “Lucio Fontana. Escultor rosarino”, Conducta, no 10 (1940): s/p.

[6] Viaggia sul Conte Grande partito da Genova che approda a Buenos Aires il 20 aprile del 1940, cfr. Banca Dati CEMLA (Centro de Estudios Migratorios Latinoamericanos).

[7] Teresita Rasini era la fidanzata e futura moglie di Lucio Fontana, rimasta in Italia durante la permanenza dell’artista in Argentina.

[8] Lettera a Teresita Rasini, 12 agosto 1940, Fondazione Lucio Fontana (Milano), d’ora in poi FLF.

[9] José León Pagano (1875-1964), scrittore, drammaturgo, pittore e critico argentino, è stato collaboratore di importanti quotidiani come La Nación.

[10] Julio Vanzo (1901-1984), artista poliedrico, sin dalla gioventù fu amico di Fontana, che lo definisce un maestro per sé stesso. Cfr. Daniela Alejandra Sbaraglia, “Julio Vanzo”, Dizionario Lucio Fontana, ed. Luca Pietro Nicoletti (Macerata: Quodlibet, 2023).

[11] Per il concorso vedi Daniela Alejandra Sbaraglia, “Monumento a la bandera”, en Nicoletti (ed.), op. cit., ad vocem; Emilio Ghilioni, “Tercer momento”, en Lucio Fontana: un seminario. Argentina: tres trabajos invitados (Santiago de Chile: Escuela de Arte de la Pontificia Universidad Católica de Chile, 1998), 48-62.

[12] Cfr. Ghilioni, “Tercer momento”, 62-66.

[13] Attilio Rossi (1909-1994), pittore, grafico e promotore culturale, fu tra i fondatori della rivista Campo grafico, che nel 1936 pubblica la prima monografia dedicata a Lucio Fontana, firmata da Edoardo Persico.

[14] Lettere a Teresita Rasini, 12 e del 26 agosto 1940, FLF.

[15] Lettera a Teresita Rasini, senza data ma 22 luglio 1941, FLF.

[16] Paolo Campiglio ed., Lucio Fontana: lettere 1919-1968 (Milano: Skira, 1999), 75, nº. 42.

[17] Al 2° premio nel 1941 con El Monaguillo e il Premio Comisión de Cultura nel 1942 per Muchacho del Paraná va aggiunto l’omaggio di una personale al Museo Municipale di Belle Arti di Santa Fe “Rosa Galisteo” (1942).

[18] Vedi Lorena Mouguelar, “Una amistad en tensión. Formaciones e instituciones culturales en Rosario hacia 1942”, in La autonomía del arte: debates en la teoría y en la praxis. Actas del VI Congreso Internacional de Teoría e Historia de las Artes-XIV Jornadas CAIA (Buenos Aires: CAIA, 2011), 379-389; Daniela Alejandra Sbaraglia, “Lucio Fontana en Argentine: l’horizon sans limites de la modernité”, in Lucio Fontana. Un futuro c’è stato/ Il y a bien eu un futur, cat. exp. (Rodez: Gallimard/Musée Soulages, 2024), 76-78.

[19] Campiglio, Lucio Fontana. Lettere…, 78, s.d. ma 1° giugno 1943, no 47.

[20] Campiglio, Lucio Fontana. La scultura… , 64.

[21] Campiglio, Lucio Fontana. Lettere…, 96, s.d. ma 10 dicembre 1943, no 72.

[22] Campiglio, Lucio Fontana. Lettere…, 210-211, 4 gennaio 1944, no 256.

[23] Si deve a Bignami la corretta datazione della prima vetrina Harrods di Fontana. Silvia Bignami, “Lucio Fontana. Profeta del arte espacial”, in Argentina. Quel che la notte racconta al giorno, cat. exp., cur. Andrés Duprat e Diego Sileo (Cinisello Balsamo: Silvana Editoriale, in corso di stampa, 2024), nota 13.

[24] Paula Bertúa, “Entre el atelier y el escaparate. Las intervenciones de Raquel Forner en Harrods”, Boletín de Arte, no 16 (septiembre, 2016): 2, http://papelcosido.fba.unlp.edu.ar/ojs/index.php/boa (acceso: 23/12/2024).

[25] Negli anni che interessano il soggiorno di Fontana la rassegna fu pubblicizzata da riviste dedicate ad arte, musica e letteratura come Saber Vivir e Lyra. Ibid., 2-3. Ogni vetrina albergava la rubrica col nome del suo creatore scritto a chiare lettere in modo da essere visibile dal pubblico passante, cfr. Talía Bermejo, “El arte en la calle: las vidrieras de Raquel Forner en Harrods (1940-1950)”, Estudios Curatoriales, vol. 1, nº 10, (2020): 65, https://revistas.untref.edu.ar/index.php/rec/article/view/815 (acceso: 23/12/2024).

[26] Alberto Lagos (1885-1960), scultore e ceramista argentino, docente all’Accademia Prilidiano Pueyrredón.

[27] Jorge Larco (1897-1967) pittore e scenografo argentino “erudito”, critico d’arte e scrittore, probabilmente conosce Fontana per il tramite di A. Rossi

[28] Pedro Domínguez Neira (1894-1970), pittore, condivide l’esperienza parigina del Grupo de París insieme ai pittori Raquel Forner, Juan del Prete, Lino E. Spilimbergo, Víctor Pissarro, Alberto Morera, e allo scultore Alfredo Bigatti, cfr. María Elena Babino, El grupo de París, Buenos Aires, Centro Virtual de Arte Argentino, http://www.cvaa.com.ar/02dossiers/grupo_paris/3_intro.php (acceso: 23/12/2024).

[29] Héctor Basaldúa (1894-1976), pittore e scenografo, è legato al Grupo de París.

[30] Raquel Forner (1902-1988), pittrice, dal 1929 integra il Grupo de París; si mostra sensibile ai temi sociali e della guerra; spazia da un linguaggio figurativo di eco surreale all’astrazione.

[31] Antonio Berni (1905-1981), pittore, tra i principali rappresentanti della pittura murale nel paese, negli anni parigini che condivide col Grupo de París si avvicina a movimenti come la Metafisica e il Surrealismo per poi virare verso un realismo di matrice comunista, con temi popolari e sociali.

[32] Horacio Butler (1897-1883), pittore formatosi tra Germania e Francia, sensibile a Cézanne e alla pittura fauves.

[33] Raúl Soldi (1905-1994), pittore, studia a Brera e frequenta la Galleria del Milione, dove conosce Fontana, integrandosi alla schiera dei “chiaristi lombardi”; in Argentina lavora anche come scenografo. Dal 1946 insegna con Fontana all’Accademia Altamira.

[34] Ad Altamira insegneranno anche Emilio Pettoruti (pittura), Victor Rebuffo e Laerte Baldini (incisione).

[35] Bertúa, “Entre el atelier y el escaparate…”, 3.

[36] Cfr. “Vidrieras artísticas”, in Saber Vivir, vol. 4, nº 44 (1944): 63.

[37] Enrico Crispolti ed., Lucio Fontana. Catalogo Ragionato di sculture, dipinti, ambientazioni, (Milano; Skira, 2006), 40-47, DDV 23.

[38] D’ora in avanti nel testo “Rivoluzione del 4 giugno”. Si trattava della celebrazione del golpe che aveva portato alla destituzione del presidente Ramón Castillo e all’insediamento del governo militare di estrema destra, filofascista e vicino al mondo cattolico, del gen. Pedro Pablo Ramírez. Dopo la rottura delle relazioni con i paesi dell’Asse, il 24 febbraio 1944, le faide interne a questo settore dell’esercito porteranno alle dimissioni di Ramírez in favore del gen. Edelmiro Farrell, alleato del colonnello Perón, allora Ministro del Lavoro. Cfr.  Federico Lindenboim, “El desarrollo de la Subsecretaría de Informaciones (1943-1945). Los primeros ensayos de política mediática de Perón antes del peronismo”, in Boletín del Instituto de Historia Argentina y Americana Dr. Emilio Ravignani, nº 55, julio-diciembre, (2021): 82-87.

[39] Perón giurerà come vicepresidente della nazione pochi giorni dopo l’inaugurazione della mostra, l’8 luglio del 1944.

[40] Campiglio, Lucio Fontana. Lettere…, 86, 29 maggio 1944, nº 63; contrariamente a quanto previsto dall’artista, per il lavoro Fontana riceverà un premio in denaro di 1000 pesos. Cfr. Instituto de Arte Americano e Investigaciones Estéticas “Mario J. Buschiazzo” (IAA), Fondos documentales del Arq. Jorge Sabaté, Caja Sad 03.

[41] Jorge Sabaté (1897-1991), scenografo e architetto razionalista, ricoprì diverse cariche istituzionali durante il governo di Perón; per un suo profilo vedi Clara Hendlin e Carola Herr, “Arquitecturas efìmeras: primeras exposiciones del Arq. Jorge Sabatè en la Av. 9 de Julio”, Seminario de Crítica del Instituto de Arte Americano, nº 184 (2013): 5 e nota 6.

[42] Il maggiore Poggi, uomo di fiducia del già vicepresidente generale Perlinger (antagonista di Perón) sarebbe stato rimosso dal suo incarico a conclusione dell’evento, il 15 luglio 1944. Lindenboim, “El desarrollo de la Subsecretaría…”, 87-88.

[43] Sabaté si occupò dell’allestimento di padiglioni ed esposizioni di committenza statale come: Primera Feria del Libro (aprile 1943), Exposición de Minería e Industrias Afines (dicembre 1944), Exposición de la Industria Argentina en la Sociedad Rural Argentina (1946-47), Gran Feria del Arte Argentino (1948-49). Hendlin e Herr, “Arquitecturas efímeras…”, 9.

[44] Cecilia Belej, “Murales efímeros para las exposiciones industriales durante el primer peronismo”, H-industri@, 9, nº 16, Primer semestre, (2015): 111, 126 http://ojs.econ.uba.ar/ojs/index.php/H-ind/ (acceso: 23/12/2024).

[45] D’ora in poi Esposizione del 4 giugno.

[46] Hendlin e Herr, “Arquitecturas efímeras…”, 10.

[47] Hendlin e Herr, “Arquitecturas efímeras…”, 10.

[48] Si tratta dei parcheggi sotterranei della zona A dell’Automobil Club Argentino che occupavano uno spazio di 8000m², IIA, Fondos documentales del Arq. Jorge Sabaté, Caja Sad 03.

[49] “Inician los trabajos para la Exposición del 4 junio”, El Mundo, 24 maggio 1944, ritaglio conservato in IIA, Fondos documentales del Arq. Jorge Sabaté, Caja Sad 03.

[50] Hendlin e Herr, “Arquitecturas efímeras…”, 9.

[51] Se ne dà notizia anche in “Preparan la Muestra del 4 junio. Una comisión se constituyó”, La Razón, 17 maggio 1944, ritaglio conservato in IIA, Fondos documentales del Arq. Jorge Sabaté, Caja Sad 03.

[52] Donato Antonio Proietto (1896/7-1962), docente di anatomia e scultore.

[53] Orestes Assali (1903-1987), scultore.

[54] Ernesto Soto Avendaño (1886-1969), scultore.

[55] Altri murales ornavano le sezioni del Ministerio della Guerra e della Marina, coordinatore, Rodolfo Franco; Policía Federal y Corporación de Transportes Bozzetti e coord. di W. Melgarejo Munos e Arturo G. Guastavino; Ministerio de Justicia: coordionatore J. A. Ballester; Confiteria coordionatore V. Manzorro.

[56] Dante Ortolani (1884-1968), pittore e scenografo del Teatro Colón insegnava pittura murale nella Escuela Superior de Bellas Artes Ernesto de la Cárcova. Era legato da amicizia all’architetto J. Sabaté.

[57] Alfredo Guido (1892-1967), pittore, illustratore, scenografo, muralista e ceramista rosarino, appartiene al filone “americanista” dell’arte latino-americana, che si proponeva un rinnovamento dei linguaggi d’espressione mediante il recupero delle radici ispane e indigene del territorio. Fu inoltre sostenitore del ruolo della pittura murale nella creazione di un’arte di stato capace di creare un’identità nazionale; direttore della Escuela Superior de Bellas Artes Ernesto de la Cárcova dal 1932 al 1955, fu amico di Fontana sin dagli anni Venti.

[58] L’equipe Guido-Ortolani, promotrice del “muralismo” nella sua corrente nazionalista, alternativa a quella socialista di Berni, più volte aveva risposto a committenze da parte dello Stato. Cfr. Belej, “Murales efímeros para las exposiciones industriales…”, 116-118. Sulla corrente americanista, che investì anche la scultura, vedi Isabel Plante e Pablo Fasce, “Oficio e innovación de los años veinte a los sesenta: derivas de la forma, la materia y la experiencia”, in Doscientos años de escultura argentina, vol. I (Buenos Aires: Banco Hipotecario, 2018), 27.

[59] Rodolfo Franco (1890-1954), pittore e scenografo, dopo un perfezionamento a Parigi dove entra a contatto con l’avanguardia cubista, torna in Argentina dove fonda il primo laboratorio di scenografia presso la Escuela Superior Nacional de Bellas Artes.

[60] “Ministros del poder ejecutivo visitan las obras de la próxima Exposición”, El Mundo, maggio 27, 1944, ritaglio conservato in IIA, Fondos documentales del Arq. Jorge Sabaté, Caja Sad 03.

[61] Emilio Gentile, Il culto del littorio (Bari-Roma: Laterza, 2001, [I ed. 1993]), 41 e 53.

[62] “Amplias proyecciones tendrán la Gran Muestra de la Revolución”, El Federal, giugno 27, 1944, ritaglio conservato in IIA, Fondos documentales del Arq. Jorge Sabaté, Caja Sad 03.

[63] Gentile, Gentile, Il culto, 41 e 53.

[64] Cfr. Mariela Rubinzal, “Libros y lectores en disputa: la primera Feria del Libro en Argentina (1943)”, in Boletín del Instituto Historia Argentina y Americana Dr. Emilio Ravignani, nº 55 (2021): 63-64,

https://ri.conicet.gov.ar/bitstream/handle/11336/185299/CONICET_Digital_Nro.f9f20414-c2dc-4db9-9bb1-59eea794d00c_B.pdf?sequence=2&isAllowed=y

[65] Belej, “Los murales efímeros…”, 119.

[66] Campiglio, Lucio Fontana. La scultura…, 86-87, 91.

[67] Cfr. Campiglio, Lucio Fontana. La scultura…, 64.

[68] María Cristina Molina Salas (1916-1968), dopo il diploma espone nella galleria Van Riel di Buenos Aires; tra i numerosi riconoscimenti ricevuti nel corso della carriera c’è il primo premio al Salón Nacional di Buenos Aires del 1961 con l’opera in gesso Forma Abstracta.

[69] Juan Zocchi, Lucio Fontana (Buenos Aires: Poseidón, 1946), figs. 54-56.

[70] O. L. C. H, Ver y Estimar. Revista mensual de crítica artística, serie II, nº 8, (1955).

[71] Campiglio, Lucio Fontana. Lettere… , 86, maggio 29, 1944, nº 63.

[72] Ricardo E. Ratti, “Del ardoroso y muy expresivo lenguaje plástico que anima las producciones del escultor Lucio Fontana”, Histonium, vol. 6, nº 65, (ottobre 1944): 33-36.

[73] Il testo veniva pubblicato in concomitanza con la diffusione della notizia della vittoria di Fontana al Salón Nacional. La sua stesura, dunque, precedeva l’evento.

[74] Le opere riprodotte sono: Muchacho del Paraná (1942), Escultura de hierro y cemento (1935), forma astratta “que sin embargo se mueve”, Caballos marinos, ceramica nera e rosa, La Vittoria (1935) “parece recorrer incontenible un espacio de milagro”, Hombre del Delta, “persistente idea de un vigor potencial próximo a emplear en el agua”, Combate indio, ceramica “blanco brillante” con “formas llevadas hasta el límite de lo sucinto y funcional”, bozzetto per il Palacio del agua y la Electricidad E42, il cui gruppo scultoreo «debía alcanzar una altura de 100 metros», La Hospitalidad, ceramica oro, blu, bianco de “inspiración gótica” e “modelado barroco”, El monaguillo, “escultura de la luz”.

[75] Ratti, »Del ardoroso y muy expresivo lenguaje plástico…”, 35.

[76] Ratti, »Del ardoroso y muy expresivo lenguaje plástico…”, 35.

[77] Le informazioni sulla mostra sono tratte da IIA, Fondos documentales del Arq. Jorge Sabaté, Caja Sad 03.

[78] Troiano Troiani (1885-1963) scultore friulano naturalizzato argentino, stimatore di Bourdelle e Mestrovic, come Fontana aveva alle spalle una nutrita esperienza di lavoro nei padiglioni internazionali. Il suo stile sintetico, fiero e monumentale ben si adattava alle esigenze di un’arte di stato che faceva dei sentimenti nazionalisti e patriottici una bandiera. Cfr. Giuseppe Bergamini, Troiano Troiani, Dizionario biografico dei friulani,

https://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/troiani-troiano/ (acceso: 23/12/2024).

[79] Hendlin e Herr, “Arquitecturas efímeras…”, 10-11.

[80] Hendlin e Herr, “Arquitecturas efímeras…”, 13.

[81] Campiglio, Lucio Fontana. La scultura…, 102.

[82] A sua volta debitore all’iconografia concepita per i bassorilievi del monumento di Piazza Fiume a Milano (1937) progettato con l’architetto razionalista Renzo Zavanella. Campiglio, Lucio Fontana. La scultura…, 105, 109-118.

[83] Fontana si diceva dispiaciuto di non poter assistere alla presentazione del Busto del dott. Grimaldi alla Dante Alighieri di Rosario, inaugurata quello stesso giorno. Campiglio, Lucio Fontana. Lettere…, 89, novembre 26 (1944) nº 70.

[84] In occasione del conferimento del Gran Premio delle Nazioni alla Triennale del 1951 alcune correnti del mondo intellettuale porteño accuseranno Fontana di affiliazione al peronismo. Cfr. Andrea Giunta, «Crónica de posguerra: Lucio Fontana en Buenos Aires», in Fontana. Un seminario (Santiago de Chile: Escuela de Arte de la Pontificia Universidad Católica, 1998), 113-14 e nota 21.

[85] Cfr. Sbaraglia, “Lucio Fontana en Argentine…”, 76-79.

[86] “El arte en la calle”, Saber Vivir, vol. 6, nº 62 (mayo 1946): 60. Alla rassegna partecipano: Juan Carlos Castagnino, (1908-1972), allievo di Lino Enea Spilimbergo, militante nelle fila del partito comunista, integra il gruppo dei pittori muralisti di sinistra che insieme a Berni utilizzano la pittura con fini sociali ma politicamente opposti rispetto al gruppo degli “americanisti”; Orlando Pierri, (1913-1990), allievo di Alfredo Guido, dopo un viaggio in Europa è influenzato dal surrealismo, che pratica in Argentina partecipando al Grupo Orión; Juan del Prete, (1897-1987), italiano naturalizzato argentino, in gioventù integra il gruppo Abstraction Création a Parigi; Jorge Soto Acebal, (1891-1974), pittore “costumbrista” e i già citati Raquel Forner, Raúl Soldi, Pedro Domínguez Neira, Horacio Butler e Antonio Berni.

[87] “El arte en la calle”, Lyra, 4, nº 34 (mayo 1946): s/p.

[88] Si tratta dei disegni Concetto spaziale (46 DSP 35) e Concetto spaziale (46 DSP 36) in Crispolti, Lucio Fontana. Catalogo…; si veda Sbaraglia, “Lucio Fontana en Argentine…”, 79.

[89] Cfr. Jorge Amelio Roccamonte ed Enrico Crispolti, «Su Fontana e il Manifiesto Blanco a Buenos Aires», Lucio Fontana, cat. exp., ed. Enrico Crispolti e Rossella Siligato (Milano: Electra, 1998), 104.

[90] Giorgio Zanchetti, “Une nouvelle conception de l’art environnemental. Vingt ans d’Environnements spatiaux et autres installations (1949-1968)”, in Lucio Fontana. Lucio Fontana. Un futuro c’è stato/ Il y a bien eu un futur, cat. exp. (Rodez: Gallimard/Musée Soulages, 2024), 48-49.

[91] Roccamonte e Crispolti, Lucio Fontana, cat. exp., 104.

[92] José León Pagano, El arte de los argentinos, tomo III (Buenos Aires: Futura, 1940), 553.

[93] Lettera a Teresita Rasini, s.d. ma scritta tra il 22 luglio e il 2 agosto 1941, FLF.